Mentre stavo mettendo in ordine le bozze di un articolo, il mio cervello ha avuto un attimo di smarrimento di fronte ad una lettera dell'alfabeto. Sembra una sciocchezza, ma deve esserci un significato recondito. Allora, vi spiego: facciamo finta che nel mio manoscritto ci fosse l'equazione $$-\Delta u + V(y)u=f(u),$$ dove $\Delta$ è l'operatore di Laplace e $V\colon \mathbb{R}^N \to \mathbb{R}$ è un potenziale. Ecco, quando ho (ri)letto questa formula, la mia mente ha istantaneamente inviato un impulso alle mie dita sulla tastiera: "hai sbagliato, dovevi scrivere $V(x)$!" In pratica, il mio cervello voleva leggere $$-\Delta u + V(x)u=f(u).$$
Qualche pignolo potrebbe alzare il ditino e ammonirmi: sarebbe stato meglio scrivere $$-\Delta u + Vu=f(u).$$ D'accordo, quella $y$ è una variabile
muta, ma nel contesto c'era un perché. Il punto invece è: perché la $x$ ci piace e la $y$ ci sembra subito un errore di battitura?
La risposta non ha effettivamente alcun senso logico. Semplicemente, fin dalla scuola media siamo abituati ad usare $x$ come lettera universale per indicare incognite o variabili. Se ce ne serve un'altra, scriviamo $y$, ma assai raramente usiamo subito $y$. Pensateci: avete mai avuto un professore che vi abbia spiegato le equazioni polinomiali di secondo grado scrivendo $$az^2 +bz +c=0?$$ Immagino di no. Ma se avete continuato gli studi di matematica, sono certo che almeno uno dei vostri libri di testo ammoniva che è profondamente sbagliato usare la frase
Sia $f(x)$ una funzione...
Qualche Autore Ardimentoso suggerisce notazioni quali $f(\cdot)$ o $f(\#)$, per indicare la presenza di una variabile indipendente. Interessante, vero? Peccato però che non sembra esserci una sostanziale differenza fra $\#$ e $x$, in quanto simboli.
Io non sono più così giovane (se non in relazione alla scala di età dei mass media), e faccio matematica da più di un decennio. Eppure ho ancora il riflesso inconscio di privilegiare la $x$ ad ogni altra lettera dell'alfabeto.
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