Nonostante: ecco, questa è la parola che secondo me descrive al meglio
questo libro. L'ho acquistato e letto nonostante l'autore fosse un giornalista (diffido sempre dei romanzi scritti dai giornalisti, perché sospetto che abbiano sfruttato qualche conoscenza per superare i filtri delle case editrici), nonostante fosse ambientato nel Monferrato (un'area che ormai è favorita da una certa letteratura
nera che mescola fantasmi, satanismo, nebbia lattea e
la barbera, un vino che noi lombardi abbiamo sempre considerato al maschile), nonostante fosse spacciato per il tipico giallo-da-leggere-sotto-l'ombrellone-nell'estate-2013, e nonostante fosse venduto ad un prezzo che solitamente si applica alla letteratura usa-e-getta. Nonostante tutto ciò, l'ho letto. Ma non sotto l'ombrellone: sotto l'albero di Natale.
La trama, ahimè, non brilla per originalità. Il libro è diviso in due parti, una ambientata nel 1962 e l'altra nel 1991 (wow, mai visto un espediente simile!). Ci sono dei ragazzini (nel 1962) che diventano adulti (nel 1991): ari-wow, chi l'avrebbe mai detto?!
Ci sono gli odori, gli oggetti, il clima dei ruggenti anni '60 (nel 1962), e ovviamente gli strascichi dei decadenti anni '80 (nel 1991) con le strizzate d'occhio alla Milano da bere, alla televisione di Berlusconi, agli yuppy che si arrichivano con affari poco trasparenti. E, sorprendentemente, nel 1962 c'è un morto che sembrava morto per cause naturali, ma nel 1991 un medico che riesuma le ossa si accorge che nel cranio c'è un foro alquanto sospetto. Il caso viene riaperto: praticamente è la trama di un episodio qualsiasi della serie
Cold case.
Quindi il libro non sembra promettere bene. Eppure,
nonostante ciò, sarebbe sbagliato accantonare un romanzo per una trama già nota. La letteratura - e l'arte tutta - si rivolge al cuore, non alla ragione. Se fosse diversamente, l'umanità avrebbe dovuto smettere di scrivere, scolpire, dipingere, comporre musica da almeno duemila anni. E poi, per estensione paradossale, perché emozionarsi alla nascita del secondo figlio, se ci si è emozionati per quella del primogenito?
Insomma, un libro può piacere anche se racconta storie che conosciamo già.
Ed è questo il caso. Remo Guerrini riesce a creare un'atmosfera coinvolgente e magnetica, dove i richiami più banali (chi ricorda il deodorante
Bac o la rivista
Bolero film?) non sembrano semplici trucchi di mestiere. La trama gialla non è impeccabile, anzi si rivela deboluccia. Ma dobbiamo essere consapevoli che non vogliamo leggere un classico giallo inglese dove l'investigatore smaschera l'assassino seguendo un ragionamento rigoroso. Qui l'investigatore è un maresciallo dei carabinieri un po' scalcagnato, che sembra sveglio e invece non capisce davvero nulla di quello che gli succede intorno. Forse anche per questo la soluzione del mistero lascia l'amaro in bocca.
Molto superiore è invece la capacità di narrare una storia di rancori mai sopiti, con l'aggravante dei futili motivi. È mai possibile che una banda di ragazzini alimenti odio reciproco per trent'anni? E che caspita di ragazzini frequentava l'autore, se questi sono pronti a prendersi a roncolate per una battuta volgare? Forse qualche personaggio è troppo estremo, e alcuni commenti sui bambini down non dovrebbero appartenere più nemmeno alle bestie. Questo compiacimento di Guerrini per la provincia animalesca e sordida probabilmente non gli attirerà la simpatia dei monferrini, che penso siano né migliori né peggiori dei liguri come lui.
Resta il fatto che,
nonostante questi difetti,
L'estate nera sia una buona lettura, sopra la media delle pubblicazioni dello stesso genere.
Una fascetta colorata avvisa il lettore che da questo romanzo è stato tratto il film
Eppideis,
annunciato in uscita per il 2014. Il fatto che sia stato girato in Puglia lascia appena perplessi, ma staremo a vedere.
Commenti
Posta un commento