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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Ché a Natale non se ne può più di

Tormentoni (pre)natalizi, udibili in qualunque circostanza.
  • Se non ti vedo più, tanti auguri. Naturalmente le due persone in questione si vedono un paio di volte al giorno, ma cominciano il 24 di novembre a scambiarsi questa frase fatta. Gli autobus sono pieni di vecchietti che si lasciano così, con un pizzico di scaramanzia; in realtà, nei prossimi 29 giorni, si incontreranno alla solita osteria per la solita briscola. Ma le tradizioni sono tradizioni, che diamine!
  • Buona fine e miglior inizio. Ecco, questa mi fa letteralmente venire la pelle d'oca. Un ricordo della mia infanzia è mia nonna che, il venerdì di Passione (che allegria il cattolicesimo, vero?) sentiva le campane a morto e diceva "Stanno suonando la fine". Io non capivo bene, la fine di che? Cresciuto un po', ho ricostruito che "fine=morte", e non "di che" bensì "di chi". Questa tetra consuetudine mi è rimasta scolpita nell'immaginario, e quando un tizio augura buona fine ad un conoscente, secondo me è perché vorrebbe sbarazzarsene definitivamente.
  • A me il Natale mi mette tristezza, però lo festeggio per i bambini. Evviva l'onestà, quanto meno. Ci sono milioni di adulti che vorrebbero svegliarsi il 2 gennaio per evitare le insulsaggini delle Feste Comandate, ma si sacrificano per far piacere ai bambini. Insomma, li alleviamo con una specie di secondo peccato originale: averci massacrato l'anima per un decennio almeno con questo Babbo Natale, magari fingendo pure di non sapere che non esiste affatto.
  • Dove vai per Natale? Ovviamente nove persone comuni su dieci passeranno le Feste Comandate con i famigliari, secondo Tradizione. Solo pochi privilegiati partiranno per un paradiso tropicale, magari facendosi rimborsare le spese dalla Regione.
  • In questi giorni siamo tutti più buoni. Ma porca di quella miseria, non avete sentito parlare di quel massacro di bambini palestinesi, o di quell'epidemia mortale nel Remotistan, o di quel ragazzo che ha sterminato l'intero vicinato a colpi di M16? Come fate a pensare che le migliaia di futuri assassini facciano i buoni perché siamo a Natale? E se fossero assassini atei, ci avete mai pensato?
  • Anche quest'anno, tutti i treni si fermeranno cinque minuti a mezzanotte, per festeggiare l'anno nuovo. Non per sembrare ipercritico, ma forse si festeggerebbe meglio se i treni non si fermassero ogni cinque minuti per tutto il resto dell'anno, vi pare? Dopo le incomprensibili esigenze di servizio, adesso anche l'anno nuovo è una buona ragoine per fare ritardo sui treni?
  • L'Epifania tutte le feste si porta via. Questa è l'esclamazione che, alla cinquantesima volta in mezza giornata, potrebbe convertire un monaco buddista in un serial killer. Quanti sanno che cos'è l'Epifania, sinceramente? E perché mai dovrebbe portarsi via tutte le feste, se (per esempio) il giorno di Pasqua viene sistematicamente dopo? A meno che abbiate meno di diciotto anni, è da un pezzo che avete smesso di far festa dal 23 dicembre al 6 gennaio, vero? In tutta sincerità, molti di voi fanno festa il 25 e il 26 dicembre, il 1^ gennaio, e il 6 gennaio. Quattro giorni spalmati su due settimane, non mi pare che il 6 gennaio ci colga tutti nel mezzo di un'infinita vacanza.
  • Eh, quest'anno c'è crisi: ho comprato solo queste scarpe da cento euro, poi questo cappottino da centocinquanta euro (ma ne valeva la pena, signora mia), e poi ci sono i bambini che vogliono la pleistescion gold tempestata di brillanti e non posso dire di no. Ecco, quando il telegiornale intervista questi personaggi da baraccone che piangono miseria se devono pagare le tasse e poi spendono in un pomeriggio lo stipendio di due centralinisti precari, capisco che gli italiani sono senza speranza.

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