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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Integrazione

Pur avendo ottenuto un'insperata proroga di una settimana, devo comunque affrontare l'ennesimo problema didattico: come spiegare ai miei allievi biotecnologi la teoria dell'integrazione.

Primo dubbio: meglio fare prima la ricerca delle primitive (a.k.a. l'integrale indefinito) e poi l'integrale definito, o viceversa? Avendo frequentato il corso di laurea in matematica, la mia esperienza conta poco, essendo evidente che la teoria dell'integrazione indefinita semplicemente non esiste. Nessun matematico contemporaneo può credere che la congerie di stratagemmi per rimediare una primitiva la qualunque sia una teoria matematica; al massimo, è un ottimo modo per familiarizzare con alcune tecniche di calcolo. Resti fra noi, ma siamo poi così sicuri che nel terzo millennio abbia ancora senso bocciare un futuro biotecnologo perché non sa calcolare una primitiva? Suvvia, se mai un biotecnologo dovesse aver bisogno di una primitiva, e già di questo dubito fortemente, accenderà un computer dotato di connessione internet e userà un servizio come Wolfram Alpha.
Chiusa parentesi, è altrettanto vero, sperimentalmente, che la teoria dell'integrale definito (di Riemann) risulta alquanto indigesta ed oscura. Tutte quelle storie sulle partizioni, sulle somme di Riemann, sui limiti di queste somme: e tutto per definire una cosa che si può calcolare al volo come $F(b)-F(a)$? Ma siamo matti?

Secondo dubbio: prima o dopo, tocca parlare dell'integrale definito. Sì, ma come? Conviene fare la costruzione di Darboux (quella con le partizioni e le approssimazioni per eccesso e per difetto), o quella tradizionale basata sul limite delle somme di Riemann al tendere a zero dell'ampiezza delle partizioni? Oppure quella, più esotica, con le funzioni a scala? Ai miei tempi ho imparato la costruzione di Darboux, ed inevitabilmente continuo a privilegiarla. Ma gli studenti sembrano afferrare un po' meglio l'idea delle somme di Riemann, forse perché non vedono che alla fine serve un concetto di limite assai meno elementare che in apparenza. L'introduzione delle funzioni a scala, proposta da sparuti Autori di manuali universitari, non ha mai fatto breccia nei cuori dei docenti, e ne capisco le ragioni: è una costruzione di tipo funzionale, nel senso che bisogna concepire le funzioni come elementi di un insieme. Purtroppo il calculus propone le funzioni alla maniera del tempo che fu, cioè come numeri o come grafici, e soprattutto non accenna alla convergenza di una successione di funzioni.
Infine, ci sarebbe l'approccio (invero geniale nella sua apparente banalità) di J. Dieudonné, che definiva $$\int_a^b f(x)\, dx = F(b)-F(a),$$ dove $F'=f$. Peccato però che avesse bisogno di dimostrare l'esistenza di $F$, e questo richiedeva il concetto di funzione regolata e di convergenza funzionale. E la giostra riprende a girare.

Finora, ma ogni suggerimento è ben accetto, privilegio l'ordinamento

  1. integrale di Riemann;
  2. legami con la ricerca delle primitive
e credo che mi rassegnerò ad introdurre grossolanamente le somme di Riemann, magari anche solo per le partizioni equi-spaziate e per le funzioni continue su un intervallo $[a,b]$. D'altronde, quando mai un biotecnologo si tormenterà perché non ha visto il teorema di integrabilità per le funzioni continue quasi ovunque?

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