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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament...

Mathematica gratia mathematicae

Che cosa intendo dire? Parafrasando il motto Ars gratia artis, cioè Arte per l'arte, ho capito che non sono fatto per insegnare la matematica in modo divulgativo.

Contesto: ieri pomeriggio ho avuto due ore di lezione con i miei allievi biotecnologi, e dovevo completare uno studio di funzione. Avevo leggermente sottostimato la durata della spiegazione, e mi sono trovato con mezz'ora da riempire. Vagamente impreparato, ho introdotto l'integrale di Riemann, basandomi sull'esigenza di misurare aree mistilinee, e citando l'ormai trito esempio dell'area del cerchio. Sarà stato perché andavo a braccio, sarà stato perché eravamo tutti stanchi, ma ho avuto la precisa sensazione che ai miei studenti non importasse un fico secco di quello che dicevo. Tutti i miei (orripilanti) disegnini alla lavagna sembravano inutili, finché ho deciso di smettere e di riprendere quest'oggi.

Confesso di aver iniziato a simulare la lezione mentre ero in bagno a radermi, e pensavo agli esempi e ai teoremi. Arrivato in aula, ho fatto quello che so fare meglio: spiegare la matematica in quanto matematica, senza fingere di renderla dilettevole artificialmente. Quindi ho definito la partizioni di un intervallo e la sua ampiezza, le somme di Riemann e l'integrale definito. E ho visto che i miei studenti seguivano, prendevano appunti e apparivano (buon segno) a volte confusi.

Temo che sia un lato della mia personalità che resiste ad ogni sforzo di cambiamento: fin da giovane capivo la matematica, i teoremi e le dimostrazioni, ma avevo qualche difficoltà con le applicazioni in genere. Ho apprezzato la teoria dell'ottica (elementare) quando ho visto i legami con il calcolo delle variazioni, e studiavo le formule più che le teoria da esse descritte.

Non so se sbaglio, certamente la prassi didattica contemporanea incoraggia l'insegnamento della matematica in modo strumentale, premettendo scuse non richieste ad ogni nuovo argomento teorico. Sarà giusto così, ma io proprio non so farlo: capisco perfettamente di apparire confuso e scettico, quando devo giustificare lo studio della derivata per fare questo o quest'altro. È evidente che non credo in questo approccio, perché preferisco applicare quel che conosco, piuttosto che conoscere quello che applico.

Alla fine, la mia frustrazione di ieri è stata compensata dalla soddisfazione di oggi. La vita di chi insegna è questa, o almeno lo spero.

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