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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Con una semplice autocertificazione

Ricordate i tempi in cui noi italiani eravamo famigerati per le richieste più assurde della burocrazia, come il certificato di esistenza in vita da presentare personalmente all'anagrafe?

Poi è arrivato non più quale ministro, e ha inventato (si fa per dire) l'autocertificazione: il sottoscritto dichiara che... Poi dichiara che quanto dichiarato è veritiero, un non-sense che solo la diffusa ignoranza per il ragionamento scientifico rende plausibile: se dovessimo attestare la veridicità della dichiarazione precedente, moriremmo tutti prima di chiudere la pratica.


Comunque, finite le lezioni della scuola primaverile, accendo il tablet e scarico la posta, dove trovo l'ennesima disposizione della mia amministrazione. D'ora in poi, ogni volta che andrò in missione o che inviterò un collega per un seminario o una collaborazione scientifica, dovrò autocertificare che queste attività sono pertinenti al progetto di ricerca cui appartengo. Ho riletto il messaggio due volte, e sono ancora incredulo.

Perché, dico io, solo in Italia un povero ricercatore riceve qualche soldo per fare ricerca e deve essere trattato come Pietro Gambadilegno, cioè come il primo colpevole di qualunque truffa di Topolinia? Amici e colleghi all'estero godono di una fiducia che lascia senza parole: se il loro computer si rompe, vanno in un negozio e ne acquistano uno nuovo, presentando la fattura all'amministrazione. Noi italiani pensiamo subito a tutti i possibili abusi di questa fiducia, esibendo la tipica mentalità del suddito. E siamo quasi orgogliosi di un sistema di dichiarazioni incrociate che serve solo a mortificare gli onesti. A fronte, sia detto per inciso, di spese davvero minime.


E va bene, la prossima volta che inviterò un professore a fare un seminario, firmerò con il sangue un foglio dove ci sarà scritto che il suddetto non è una spogliarellista o una massaggiatrice. Consapevole dei rischi che una dichiarazione mendace comporta a' sensi e pegli effetti del Codice Penale, si intende. Poi autorizzerò il pagamento di euro 100 (cento) lordi, una cifra che qualunque idraulico chiede per cambiare un rubinetto in quindici minuti, senza nemmeno una dimostrazione o una derivata.


Ah, dimenticavo la chicca del timesheet: ogni giorno devo dichiarare quante ore ho dedicato a questo o a quel progetto. Già, perché se le equazioni del FIRB non contano per il PRIN, e viceversa. 

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