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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament...

Talking pictures


Pochi giorni fa vi ho parlato di Ransom Riggs. Quel libro mi è tanto piaciuto che ho ordinato Talking pictures, attualmente disponibile solo in lingua originale. Non è però una grande limitazione, trattandosi di un libro di fotografie. Eccone alcune, trovate in rete:

L'ultima è fra le mie preferite. La didascalia recita
I'm nobody's baby.
Immagino risalga alla fine dei roaring twenties, o forse poco dopo. La modernità di questa ragazza, che probabilmente era più giovane di quanto apparisse, mi lascia senza parole. Sarebbe stato il mio tipo, senza dubbio.

Ovviamente non c'è trama da riassumere, quindi mi lascio andare ad alcune riflessioni personali. Da sempre ho un pessimo rapporto con le fotografie. Quando ero bambino, le fotografie dei miei parenti mi facevano paura: i loro volti mi sembravano diversi, estranei. Da grande mi hanno spiegato che si tratta di un fenomeno assolutamente normale: i volti umani non sono mai perfettamente simmetrici, ma solitamente non ce ne accorgiamo. Quando però vediamo un volto familiare allo specchio (o in foto), il nostro cervello percepisce la simmetria assiale e lancia un segnale di inquietudine, perché si crea un leggero cortocircuito fra la consapevolezza di guardare un viso familiare e la realtà di un viso simmetrico rispetto ad una retta che percorre il naso dall'alto in basso.
Ormai non sono più un bambino da tanto tempo, eppure non mi piace essere fotografato. Temo addirittura di non possedere vere fotografie da adulto, salvo qualche selfie usato per scopi burocratici e le solite foto-tessera per i documenti. So di comparire in alcuni scatti di amici durante le vacanze, ma quasi sempre non mi piaccio e preferisco stare dietro la macchina.

Tuttavia le foto di questo libro mi hanno incantato. Immagini di persone quasi sicuramente morte, dunque testimonianze uscite da una particolare macchina del tempo. Chissà se la ragazza che non voleva padroni ha avuto una vita felice. Qualche volta, dice Riggs nella prefazione, basta leggere il retro per scoprire destini tragici e ingiusti: bambini ritratti poco prima di morire per una malattia allora incurabile o, addirittura, di stenti durante la Grande Crisi.
Altre volte possiamo solo immaginare, sentirci per un attimo vicini a quelle persone estranee che diventano, senza spiegazione, familiari.

Una volta ho ripescato una foto del 1930 che ritraeva mia (pro)zia Rosalia con i genitori, nel piccolo prato davanti a casa. Lei era una donna di vent'anni (allora a vent'anni si era adulti), nubile (non si sarebbe mai sposata, nobody's baby), il padre aveva un bel cappello di paglia come richiedeva l'eleganza. L'unico figlio maschio ancora vivo, mio nonno Federico, stava per partire per la campagna d'Africa e dieci anni di naja; eppure sembravano sereni, forse perché una fotografia era un evento speciale. Oggi probabilmente non è più così, e soprattutto sarà quasi impossibile, per i posteri, acquistare le nostre fotografie nei mercatini rionali come ha fatto Ransom Riggs per anni.

Un'ultima osservazione, tutt'altro che nostalgica: alcune delle foto riprodotte nel volume sembrano essere prese da un profilo Facebook. Ci sono pose che un contemporaneo avrebbe sicuramente giudicato stupide, esattamente come liquidiamo le immagini postate sui social network. Quasi un secolo dopo, gli scherzi dei ragazzi del 1930 ci fanno sorridere e ci emozionano come piccole opere d'arte.

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