Ieri pomeriggio ho avuto il piacere di ospitare, per una conferenza, il professor
Roberto Lucchetti. Che è stato una figura altamente formativa per la mia carriera di matematico professionista fin dall'ormai remoto anno accademico 1993-1994: per me l'analisi matematica è sempre quella che ci insegnava lui, seguendo il manuale di Walter Rudin
Principi di Analisi Matematica. Ma non è di queste memorie che voglio scrivere oggi.
Il tema della conferenza era la teoria dei giochi, della quale Lucchetti è un esperto e un divulgatore notevole. L'aula era piena (cinquanta persone, che per un seminario di matematica è una cifra ragguardevole), e l'oratore era magnetico; la buona riuscita dell'iniziativa non era dunque in discussione.
Mentre ascoltavo gli esempi e le applicazioni, ripensavo ai giorni in cui dovevo compilare il mio piano di studi per il secondo biennio (laurea del vecchio ordinamento): fra i corsi a disposizione nell'angusta Seconda Facoltà di Como c'era Economia Matematica, tenuto da Lucchetti stesso.
Pur conoscendo ed apprezzando il docente, ricordo di non aver inserito quel corso nel mio curriculum. Perché? Ora cerco di spiegarvelo.
In qualche modo, la teoria dei giochi, l'economia matematica, la matematica applicata alla biologia, mi spaventano. Credo di aver già scritto in questo blog che mi sono sempre considerato un matematico più vicino all'umanesimo che alle altre scienze, e ritengo che gli studiosi medioevali avessero ottime ragioni per accostare la matematica alle lettere e alla filosofia. Paradossalmente, non sarebbe una cattiva idea se i dipartimenti di matematica fossero avvicinati a quelli di filosofia, invece che a fisica o informatica.
Insomma, per tutte queste convinzioni personali (dunque assolutamente passibili di errore), ho sempre avuto un rapporto piuttosto estremo con la mia disciplina: forse posso dire
ars gratia artis. So che la teoria matematica può essere applicata con profitto ai problemi reali, ma chiedo la gentilezza di non farlo fare a me. Scrivo articoli sulle equazioni di Schrödinger, ma confesso che me ne occuperei anche se si chiamassero equzioni di Paperoga: mi interessa la matematica che serve ad analizzarle, non il fatto che provengano da modelli fisici. Forse ho scelto la matematica come via di fuga dal confronto con lo sporco mondo reale, come un monaco di altri tempi.
Quando sentivo Roberto Lucchetti che parlava delle ipotesi della teoria dei giochi (chiedo scusa per la banalità con cui parlo di questi argomenti, ma non è il caso di scendere troppo nei dettagli), pensavo soprattutto alle strumentalizzazioni che molti (sedicenti?) scienziati e politici fanno della matematica. Perché la richiesta che proviene dall'esterno è la costruzione di teorie che spieghino (e prevedano) la realtà, senza la consapevolezza delle ipotesi. Narra la leggenda che certe scuole di economisti si nascondano dietro teoremi matematici per sostenere posizioni estremiste in materia di programmazione finanziaria, ma che quei teoremi abbiano ipotesi che non sono verificate nella realtà. E per fortuna i teoremi si prendono in blocco: ipotesi implica tesi, mentre la tesi può benissimo essere falsa quando le ipotesi cadono.
E puntualmente sono arrivate le domande dal pubblico, che sollecitavano applicazioni economiche della teoria esposta. Sono grato a Roberto per aver detto, con chiarezza, che la teoria dei giochi ha applicazioni più belle e potenti alle scienze mediche che all'economia, proprio perché gli essere umani tendono a non conformarsi alle ipotesi di molti teoremi matematici, mentre i geni (inteso in senso biologico) lo fanno spesso. La parola chiave è
razionalità: e mi vien voglia di scrivere che i giochi (anche in senso lato) reali fanno leva esattamente sull'errore degli avversari, o sulla loro irrazionalità.
Mi accorgo che sto divagando. Quello che volevo dire è che... Forse non lo so nemmeno io. Non sono un matematico applicato, proprio perché non credo (filosoficamente) nella matematica applicata. Forse questo mi rende un matematico ottuso e oscurantista, e può essere così. Però bisogna anche dire che, nel mondo del lavoro, chi assume matematici applicati lo fa troppo spesso per due ragioni: la prima è che nessun altro ricorda più come risolvere le equazioni algebriche di primo grado (non sto scherzando). La seconda è che vogliono un capro espiatorio per giustificare comportamenti tutt'altro che scientifici.
Ci sono le encomiabili eccezioni, ma sono convinto che l'utilità della matematica nella vita dell'uomo sia ancora largamente misconosciuta.
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