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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Si parla di politica

Essendo un periodo di transizione scientifica (ho la sensazione che dovrei trovare nuovi argomenti di ricerca, ma è difficile e serve tempo), parlo di politica. E di argomenti ce n'è a volontà.

In questi giorni mi capita spesso di discutere di politica con mio padre. Ne ho già parlato: elettore storico della sinistra, si è leggermente spostato al centro con l'avanzare dell'età, ed ora legge il Corriere della Sera come se fosse la Bibbia. Comunque, il suo partito di riferimento è il Partito Democratico. Io, in famiglia, sono sempre stato considerato "di destra", pur avendo votato per l'estrema sinistra. Curioso, ma si sa che gli estremi si toccano. Beh, ad ogni buon conto anche mio papà si lascia scappare sempre più frequentemente la classica frase
Che cosa vuoi che facciano questi, sono tutti uguali e l'Italia non conta nulla.
Se lo pensasse solo mio papà, poco male. Forse sto diventando paranoico, ma mi sento circondato dalla rassegnazione. Ad esempio, nel mio settore, uno dei giochi più popolari è il tiro al ministro: appena prestato giuramento, parte la campagna di affossamento preventivo, supportata dall'immancabile incompetenza. Incompetenti sono tanto i ministri politici quanto quelli tecnici.

Ho la fortuna di abitare sul confine svizzero, quindi ricevo benissimo la televisione elvetica. E anche un canale d'informazione francese. Mi piacerebbe sottoporre gli esterofili de noantri alla visione di un dibattito politico di queste due nazioni confinanti. In pochi minuti si frantuma qualunque pregiudizio di inferiorità: politici che sembrano appena usciti dalla stalla delle vacche, che faticano a mettere insieme una frase. Opinioni degne del tipico frequentatore di osterie, uno di quelli che nemmeno ne approfittano per sfogliare un giornale a sbafo.
Certo esistono le eccezioni, ma non so se i governanti stranieri siano intrinsecamente migliori dei nostri. Più onesti, ma per necessità e non tanto per vocazione, forse sì. Ma più competenti?

Dico, avete presenti le riforme epocali in materia di istruzione della Gran Bretagna? Avete presenti le politiche dell'immigrazione della Svizzera o dell'Australia? Ieri leggevo che negli Stati Uniti, da sempre il faro di civiltà cui il mondo guarda, uno Stato cerca di legittimare la discriminazione dell'omosessualità facendo leva sul diritto di seguire le proprio convinzioni religiose.

Abbiamo una classe politica con gravi carenze (io penso che sia uno specchio fedele della società italiana, ma non voglio infierire), ma stiamo correndo il richio di scivolare nel nichilismo. Ormai non vale nemmeno la pena di provarci, perché siamo certi che finirà male. L'anticamera del suicidio, più o meno.

La scorsa settimana ho sentito (durante un seminario di matematica!) una frase che reputo molto suggestiva: la trasparenza (glasnost, dicevamo noi ai tempi di Gorbacev) sta diventano il peggior nemico della politica. Sono perfettamente d'accordo: così come è difficile far pipì quando qualcuno ti osserva, può essere paralizzante avere una telecamera sempre accesa davanti alla faccia.
Di politica parliamo, leggiamo e scriviamo troppo. La politica è l'arte della mediazione, che è il bersaglio preferito dei pasdaran della trasparenza. Allearsi è diventato tradimento, cercare un compromesso è disfattismo e boicottaggio. E alla fine ci troviamo con il flagello delle riforme epocali che durano lo spazio di una (mezza) legislatura, senza poter andare a regime.

Io faccio così: vorrei 100, mi aspetto 50, e alla fine mi accontento di 25. Funziona sempre così, nella vita. Ma non è detto che sia sbagliato.

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